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Il papocchio degli sms censurati in Pakistan

Non fate gli sporcaccioni al telefono. L’Autorità per le telecomunicazioni del Pakistan (Pta) ha dichiarato guerra alle parolacce, chiedendo agli operatori telefonici nazionali di bloccare, con filtri elettronici, gli sms che contengono varie espressioni volgari. Fin qui la notizia non è molto sorprendente: il Pakistan (insieme a Mauritania, Iran, Afghanistan) è una repubblica islamica, quindi è prevedibile che la politica sia fortemente condizionata dalla religione…

E’ vero che si tratta pur sempre di una censura, con traballanti argomentazioni: la direttiva della Pta equipara gli sms volgari allo spamming, sostenendo che i messaggini indecenti o osceni siano un’offesa ai consumatori. Ci potrebbe anche stare, se gli sms contenessero insulti, per esempio.

Ma la lista delle espressioni vietate (quasi tutte a sfondo sessuale), 1.109 in inglese e 586 in urdu, le due lingue del Paese, risulta involontariamente comica: vi appaiono anche parole inoffensive, non volgari o neutre come “buco”, “black out”, “flatulenza”, “genitale”, “harem”, “omicidio” , “nudo”, “periodo”, “pene”, “prematuro”,  “testicoli”, “urina”, “utero”, “vergine”, e – quella che preferisco – “piede di atleta”… Perché mai censurarle?

Nell’elenco, poi, c’è anche “Gesù Cristo”: in effetti, nell’islam Gesù è considerato un profeta, e quindi non va nominato invano. Ma perché, allora, nell’elenco non c’è il profeta per eccellenza, ovvero Maometto?

Dunque, il caso è diventato interessante. Quale criterio hanno seguito i funzionari della Pta per redarre l’elenco delle parole vietate? Il sito ufficiale dell’Autorità non lo dice. Ma propakistani, un sito di news sul mondo della telefonia e dell’informatica, ha svelato la fonte a cui l’Autorità ha attinto per redarre la lista delle parole bandite: un sito statunitense che vende magliette personalizzate con scritte della NFL, la Lega football. Questo sito, per evitare di stampare magliette volgari con la griffe della NFL, ha preferito esplicitare quali fossero le espressioni inaccettabili sui propri prodotti. Nulla a che vedere, quindi, con la sensibilità dei pakistani di fede islamica, ma più con la pruderie puritana.

Ma non è tutto. Si è scoperto anche che la lista delle parolacce in urdu è stata ricavata attingendo al sito (peraltro poco affidabile, almeno in italiano) youswear.

Risultato? Nell’elenco ci sono errori macroscopici: è stata inserita la parola “phrase” (frase) che non è in urdu, e non è neppure una parolaccia, ma semplicemente la categoria entro cui sono elencate le espressioni…

Ecco quindi la disarmante verità. Niente sofisticate riflessioni a tavolino: l’anonimo funzionario dell’Autorità, pakistana, per redarre le liste delle parole proibite, ha banalmente fatto una ricerca su Google, limitandosi a copiare-e-incollare una serie di parole pedissequamente ricavate dal Web. Fretta? Pigrizia? Superficialità? La voglia di non andar troppo per il sottile e dare un’adesione di facciata a una direttiva zelante? Chissà.

Spesso le censure sono comiche, quando tentano di cancellare cose incancellabili (il sesso), e perché spesso sortiscono l’effetto opposto: dare ancora più evidenza a quanto vorrebbero far sparire… In questo caso, invece, il paradosso sta nella sproporzione fra gli intenti moralizzatori dell’iniziativa, e gli strumenti inadeguati per attuarla. E così, dopo tante polemiche, la Pta è stata costretta a fare retromarcia: stando alle ultime notizie, l’Autorità ha sospeso la direttiva, e ha creato un Comitato di valutazione, con rappresentanti del governo, dell’università, degli operatori telefonici, e degli utenti, per redarre una lista più adeguata. Operazione gattopardesca per non cambiare nulla? Chi vivrà vedrà. Intanto, nel nostro Paese, e in tutto l’occidente, si censura meno, ma in compenso si spiano allegramente tutte le comunicazioni, come rivela Wikileaks.

Chi sta peggio? I censurati o gli spiati? Difficile dirlo. In ogni caso la libertà di espressione, a ogni latitudine, è un optional.

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