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Giuste… o sbagliate?

Pik92 ci scrive:
“sinceramente trovo che le parolacce siano delle parole che si possono dire solo in determinati momenti. Sono dell’idea che bisognerebbe eliminarle più possibile ma ammetto che qualche volta scappano anche a me”.

 

Dunque caro pik92,
Condivido il tuo ragionamento, ma non del tutto. Le parolacce non sono né giuste né sbagliate, ma solo appropriate o inappropriate.
Ovvero: vanno usate quando il contesto lo permette o lo richiede. Se il mio capo (o il mio prof) si avvicina a me, gli dirò “Che cosa vuoi?”; ma se un conoscente mi molesta, l’unico modo di farlo smettere (facendogli capire che sono infastidito) sarà dirgli: “Che cazzo vuoi?”.
Facciamo un altro esempio: una “poesia catartica” di Flavio Oreglio:
Noi amanti perduti nella tempesta
noi amanti battuti dal vento
noi amanti frustati dall’uragano…
Amore: ma vaffanculo te e il picnic!

Farebbe ancora ridere se nel finale avesse detto: “Che facciate una brutta fine tu e il picnic”…?
Certamente no. Perché la comicità (ma anche la confidenza, l’intimità, la libertà) non può fare a meno, in molti casi, delle volgarità.
Le parolacce non vanno semplicemente condannate: prima,  bisogna capirne il significato e il potere. E usarle quando è necessario.
Come diceva lo scrittore Laurence Sterne, l’ideale sarebbe tenere l’elenco delle parolacce (dalla più lieve alla più pesante) sulla mensola del caminetto, sempre pronte all’uso, “per non oltrepassare i limiti in nessuna circostanza”.
Le parolacce esistono da migliaia di anni (qualcuno dice che siano state le prime parole pronunciate dall’homo sapiens) e non è affatto possibile eliminarle: un linguaggio senza parolacce sarebbe un linguaggio senza emozioni. E una persona senza emozioni è… un mostro!

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