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Bossi e gli insulti schizofrenici

BossiDitoMedioPuò senatore, nonché ex ministro, insultare il presidente della Repubblica con un termine spregiativo razzista? All’estero, un caso del genere sarebbe fantascienza. In Italia, invece, è cronaca: ieri un pm della Procura di Bergamo, Massimo Meroni, ha chiesto il rinvio a giudizio per Umberto Bossi, che nel 2011 durante un comizio aveva definito “terrone” il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E il 22 settembre 2015 Bossi è stato condannato a 18 mesi di reclusione per vilipendio al Capo dello Stato.

Un insulto? O un modo di dire colloquiale, come si è affrettato a difenderlo il collega di partito – nonché eurodeputato – Mario Borghezio? Oppure un modo legittimo e insindacabile di esercitare la dialettica politica, come obiettano i legali del senatur?

Il fatto risale al 29 dicembre del 2011. Berlusconi si era dimesso (e con lui Bossi, allora ministro per le Riforme istituzionali), il governo Monti si era insediato da poco più di un mese. Bossi era ad Albino (Bg) alla festa invernale della Lega Nord. Parlando alla platea di militanti, parlando del presidente Napolitano, ha detto: «mandiamo un saluto al presidente della Repubblica (fischi, e Bossi fa il gesto delle corna impugnando il microfono). D’altra parte nomen, omen: si chiama Napolitano… non sapevo che l’era un terun».
Non solo. Al pubblico di militanti che scandiva «Monti-Monti-Vaffanculo!» Bossi ha risposto: «Magari gli piace, cazzo!». Aggiungendo poi, a proposito della politica di Monti «Anche un cretino capirebbe che se aumenti le tasse, la gente spende meno, si produce meno».

Ecco il video integrale del comizio:

L’episodio non era passato inosservato: diversi cittadini avevano querelato Bossi per vilipendio al capo dello Stato, denunciando un “attacco sovversivo contro l’Unità d’Italia e i suoi organi costituzionali”. Ora la richiesta di rinvio a giudizio: il nostro Codice Penale, infatti, prevede (all’articolo 278) la reclusione da 1 a 5 anni per chi offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica. E multe da 1.000 a 5.000 euro per chi vilipende le istituzioni (articolo 290).

Il giudice dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio. A cui i legali di Bossi si sono opposti, sostenendo che le sue sparate rientravano nel suo ruolo di senatore: la Costituzione (articolo 68) garantisce ai parlamentari l’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. Se il giudice sposasse questa tesi, il procedimento penale cadrebbe o sarebbe girato alla Corte Costituzionale perché esprima un parere.
Sapremo il prossimo mese come andrà a finire questa vicenda. Ma, nel frattempo, possiamo fare alcune considerazioni. Primo, difficilmente la qualifica di terrone può essere considerata un’opinione: è un epiteto spregiativo, di cui mi sono già occupato diffusamente su questo blog. Senza contare che anche la Cassazione lo considera un insulto.
Un termine tanto più offensivo perché esprime un pregiudizio emarginante: quello che i meridionali siano inferiori o “diversi” dai settentrionali. Un pregiudizio 3 volte offensivo: non solo nei confronti della persona Napolitano, ma anche della carica che riveste (rappresenta l’unità d’Italia e tutti gli italiani), e di quel 50% di italiani che vivono da Roma in giù.

Bossi non è nuovo a uscite di questo genere: nel 2001 era stato condannato a 16 mesi di reclusione per vilipendio della bandiera italiana (aveva detto di usarla “per pulirsi il culo”; poi, in seguito a modifiche al Codice Penale, la condanna è stata trasformata in una sanzione di 3.000 euro). E nel 2010 era stato costretto – dagli alleati di partito – a una scorpacciata riparatoria a base di coda alla vaccinara e altre specialità romanesche in piazza Montecitorio, in un tentativo di riconciliazione gastronomica dopo le polemiche seguite alla sua frase: “Spqr? Sono porci questi romani”.

Renata Polverini (presidente della Regione Lazio) imbocca Umberto Bossi con una specialità romana.

In tutti questi episodi, comunque, colpisce un fatto di fondo: la schizofrenia politica. Da un lato, Bossi non perde occasione per esprimere il proprio disprezzo verso le istituzioni; dall’altro, però, ne fa parte: questo dovrebbe significare che implicitamente ne riconosce il valore e le responsabilità, e non solo fruire del potere e dei privilegi (come l’insindacabilità delle opinioni) che questo comporta. Altrimenti, sarebbe una forma di parassitismo: e la Lega non voleva combatterlo?

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