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Parolacce, la “Top ten” del 2017

La “Top ten” delle parolacce 2017 (montaggio foto Shutterstock).

Quali sono state le parolacce più notevoli del 2017, in Italia e nel mondo? In questo articolo trovate la “Top ten” degli insulti più emblematici e divertenti: una classifica che quest’anno raggiunge un traguardo importante, la 10a edizione.
Come in passato, ho selezionato gli episodi con tre criteri: il loro valore simbolico, i loro effetti e la loro carica di originalità. Sono episodi rivelatori: fanno sorridere ma anche riflettere.
E a proposito di riflessioni, al termine della classifica trovate un approfondimento sugli insulti del presidente Donald Trump: un fatto senza precedenti, che sta corrodendo la democrazia negli Stati Uniti.
Qual è, secondo voi, il vincitore assoluto della Top Ten 2017? Potete scriverlo nei commenti.
Buona lettura! E auguro un felice 2018 a tutti i lettori di parolacce.org.
Se volete leggere le classifiche degli anni passati, potete cliccare sui link alle “Top ten” precedenti: 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

INSULTI ATOMICI

 

“Gangster, rimbambito!”
“Pazzo, basso e grasso!”

Kim Jong-un e Donald Trump (foto Shutterstock).

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IL FATTO

La Corea del Nord ha avviato i suoi primi test nucleari già  nel 2006. Ma Kim Jong-un, al potere dal 2011, li ha intensificati nell’ultimo anno. Quando era in campagna elettorale, Donald Trump si era detto favorevole a incontrare Kim per tentare di disinnescare la crisi nucleare. Ma dopo la sua elezione la crisi fra i due Paesi è peggiorata, ed è diventata uno degli scacchieri internazionali in cui si gioca il confronto fra gli Usa e la Cina, alleata di ferro della Corea del Nord. E così ai test missilistici di Pyongyang è seguito il rafforzamento delle difese aeree e navali degli Usa, della Corea del Sud e del Giappone.
E mentre la minaccia nucleare resta – per fortuna – un deterrente virtuale, i veri scontri fra Usa e Corea sono stati i bombardamenti di insulti fra i leader dei due Paesi. Sono insulti dimostrativi: servono a far sentire forte la propria voce sui media internazionali, e servono soprattutto a uso interno, cioè a cementare l’opinione pubblica a fianco del proprio leader agitando lo spauracchio di un nemico esterno. Perciò, almeno fino a ora, sono stati insulti infantili, che contrastano con la drammaticità della situazione.
L’escalation è iniziata a giugno, quando è morto Otto Warmbier, uno studente americano imprigionato per 17 mesi dopo aver rubato in Corea uno striscione di propaganda. In quell’occasione Trump aveva definito “brutale” il regime di Pyongyang. Le autorità nordcoreane hanno risposto paragonando Trump a Hitler.
Era solo l’inizio: ecco una collezione degli insulti che i due leader si sono lanciati, con tutti i mezzi a disposizione (Twitter, giornali di partito, conferenze stampa) nell’anno appena trascorso: sono diventate un modo per sfogare la tensione, decisamente più innocuo rispetto alle armi nucleari, di cui, peraltro, gli Usa sono i maggiori detentori al mondo.  

  • Jong-un su Trumpgangster mentalmente squilibrato e rimbambito; vecchio lunatico; guerrafondaio; furfante e gangster che si diverte a giocare col fuoco; cane che abbaia e non morde; vigliacco; 
  • Trump su Jong-un: pazzo; basso e grasso; Rocket Man; criminale

FORMATO EXPORT

“Una troia sei! Brutta pompinara!”.

Fabio Fognini alla giudice di sedia, US Open, New York, 30 agosto 2017

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IL FATTO

Agli US Open, uno dei tornei di tennis più prestigiosi al mondo, Fognini ha affrontato il connazionale Stefano Travaglia. Contrariato da alcune decisioni del giudice di sedia, la svedese Louise Engzell, Fognini ha perso la calma, esclamando: “Una troia sei! Brutta pompinara!”. Sul momento, dato che nessuno capiva l’italiano, non è successo nulla: Fognini è stato battuto al primo turno da Travaglia, e la questione sembrava esaurita sul campo. Fognini se l’è cavata con una multa di 24mila dollari per condotta antisportiva. Ma dopo qualche giorno il video con gli insulti ha fatto il giro del mondo, e gli organizzatori, quando hanno saputo la traduzione delle sue frasi, l’hanno estromesso dal torneo (giocava in doppio con Simone Bolelli , con cui aveva già superato due turni) e l’hanno privato del montepremi che aveva guadagnato (circa 72.000$).
Le sue frasi insultanti hanno anche acceso polemiche politiche: alcune deputate italiane l’hanno accusato di sessismo. In un’intervista il tennista si è poi scusato per l’accaduto, dichiarando di aver sempre amato e rispettato le donne. Lo scorso settembre, la Federazione internazionale di tennis (Itf) gli ha comminato altre sanzioni: una multa di 96mila dollari (ridotta a 48mila se Fognini non commetterà ulteriori gravi infrazioni nei tornei dello Slam fino a tutto il 2019) e la minaccia di sospensione da due tornei dello Slam, uno dei quali deve essere gli Us Open, se dovesse commettere altre gravi infrazioni nei tornei dello Slam fino a tutto il 2019.
Staremo a vedere se queste sanzioni riusciranno a tenere a freno la sua impulsività: nel 2014, dopo una sconfitta, era arrivato a insultare persino suo padre presente fra il pubblico. 

REAZIONE DI MASSA

 

“Siamo tutti sbirri”.

I 25mila manifestanti alla 22° Giornata della memoria delle vittime delle mafie, Locri, 21 marzo 2017

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IL FATTO

Tutto era cominciato il 20 marzo con una scritta su un muro di Locri, in Calabria, terra di ‘ndrangheta. Poche ore dopo la visita in città del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su una parete dell’arcivescovado, dove era ospitato don Luigi Ciotti, presidente di Libera (associazione che si occupa di sensibilizzazione e contrasto al fenomeno delle mafie) era apparsa la scritta “Don Ciotti sbirro, più lavoro meno sbirri”.  Occorre ricordare che “sbirro” è un termine spregiativo per indicare  i poliziotti: deriva dal latino “birrum” (rosso), perché un tempo le divise erano rosse. Sta a indicare un agente dispotico, che esegue gli ordini ciecamente e facendo soprusi.
La scritta ha suscitato grande indignazione: al punto che il giorno successivo, 25mila persone sono arrivate a Locri per celebrare la 22a giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa proprio da Libera e Avviso Pubblico. E un altro mezzo milione di persone ha marciato in segno di solidarietà in migliaia di piazze italiane. “Oggi a Locri siamo tutti sbirri: ricordiamo i nomi degli agenti che hanno perso la vita per la libertà e la democrazia del nostro Paese. In testa al corteo c’era la vedova del brigadiere Antonino Marino, ucciso nel 1990: indossava una maglietta con la scritta “Orgogliosa di aver sposato uno sbirro”. “Quando ho visto quelle scritte sui muri” ha detto la donna “mi si è rivoltato lo stomaco. Sono moglie e mamma di un carabiniere: gli sbirri sono persone perbene”. 

INSULTI MILIONARI

Offende i concorrenti: lo sponsor gli chiede 2,1 milioni di euro

L’acqua Rocchetta chiede i danni a Flavio Insinna dopo il suo fuori onda volgare pubblicato da “Striscia la notizia”, 2 novembre 2017

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IL FATTO

Tutto inizia il 23 maggio 2017, quando “Striscia la notizia” (tg satirico di Canale 5) manda in onda un filmato in cui Flavio Insinna, conduttore del gioco a premi “Affari tuoi” (Rai1) insulta pesantemente i propri collaboratori, accusandoli di aver scelto concorrenti inadeguati per la trasmissione, al punto da aver causato un calo di ascolti. Il filmato – girato a sua insaputa – rivela un lato inaspettato di Insinna, che si rivolge in modo rabbioso e offensivo ai suoi collaboratori, arrivando a insultare anche i concorrenti del gioco: “Nana di merda”, “sette dementi”, “Questa è una merda”…. “non mi rompete i coglioni con questa cazzo di scatola”, “La merce [i concorrenti] la scelgo io”, “Siamo riusciti a prendere degli stronzi” e così via.
Il video fa scalpore: molti fan si indignano nello scoprire questo lato di Insinna, che giorni dopo si è scusato con gli spettatori e i concorrenti, rimarcando però che quel video era stato ripreso a sua insaputa durante una riunione. Mesi dopo, l’epilogo inaspettato: la Cogedi i
nternational, distributrice del marchio Rocchetta di cui Insinna era testimonial, ha chiesto un risarcimento allo showman per le proteste dei consumatori su Facebook, il calo del fatturato e i danni di immagine. Un totale di 2 milioni e 189mila euro, che si aggiungono alla restituzione del cachet di 275 mila euro l’anno che percepiva per gli spot. Amaro il commento di Insinna: “invece di difendermi da una campagna sistematica di denigrazione mi hanno lasciato solo, scaricandomi”. 

LO SBROCCO RUBATO

“Il Grande Fratello? Sfigati, programmi di merda”.

Marco Travaglio vittima de “Le iene” (dal min. 13:23), 12 novembre 2017

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IL FATTO

Gli autori delle “Iene”, trasmissione di Italia1, hanno avuto un’idea perfida: organizzare uno scherzo a Marco Travaglio, nemico giurato di Berlusconi. Gli hanno fatto credere che suo figlio Alessandro, rapper torinese, avrebbe partecipato al Grande Fratello Vip. Alessandro Travaglio, in realtà, era complice della trasmissione. Quando il figlio gli ha chiesto di intervenire in trasmissione come ospite, il padre ha sbroccato, ignaro di essere ripreso dalle telecamere di Mediaset nascoste a sua insaputa in casa sua: «E’ una trasmissione di sfigati, morti di fama, che non hanno più fama e cercano di recuperarla, mettendo in piazza le loro mutande, le loro scoregge, le loro scopate, le loro pippe, eccetera. E’ un programma osceno. (…) Se tu pensi che ti abbiano invitato perché sei un artista, ti illudi: ti hanno invitato perché sei figlio mio, ovviamente. Non farai il tuo lavoro, farai il coglione in mezzo a un branco di coglioni, di sfigati. Emette puzza anche dal video, quel programma lì, sei sentono le puzze. (…) Non esisto per quei programmi di merda lì, che ho sempre preso per il culo e ho sempre irriso e ho sempre definito programmi diseducativi e orrendi (…) Secondo te vengo in tv a sporcare il mio nome e la mia faccia, a sputtanare un intero giornale in un programma del genere». Io vado lì da loro? Io li schifo, io gli sputo in faccia. Sono gentaglia, personaggi orrendi. Sono la feccia dell’Italia, stanno rincoglionendo milioni di persone. La sola idea di essere avvicinato a loro mi fa venire il vomito. Non esiste proprio al mondo».
Alla fine, quando il figlio gli ha rivelato che era uno scherzo, Travaglio ha tirato un sospiro di sollievo e gli ha detto: «
Idiota. Sei un coglione. Sei veramente una testa di cazzo. Sei scemo. …. Ma è uno scherzo divertente. L’importante è che non ci vai. Cominciavo a dubitare della tua sanità mentale»…

A TUTTA PAGINA

“Patata bollente”.

Titolo di “Libero” su Virginia Raggi, 10 febbraio 2017

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IL FATTO

Il titolo uscito su “Libero”, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, fa un doppio senso pesante (“patata bollente” è un problema scottante, ma può essere inteso anche come vulva eccitata), per alludere ai guai – giudiziari e forse anche sentimentali – della sindaca di Roma Virginia Raggi.
La sindaca è stata accostata dal giornale agli scandali sexy di Silvio Berlusconi: “mi limito a sottolineare che le debolezze accertate del Cavaliere meritano la medesima considerazione di quelle supposte della sindaca” scriveva Feltri. “Le valutiamo con lo stesso metro di giudizio: l’erotismo è legittimo ed è materia su cui non vale la pena di indagare. Ciascuno ha il diritto di coricarsi con chi gli garba. Si dà però il caso che Silvio pagava di tasca i propri vizietti, mentre Virginia detta Giulietta ha attinto ai soldi pubblici per triplicare lo stipendio a Romeo. Mi pare una aggravante, ma non calchiamo la mano. Invoco soltanto la par condicio per chiunque sia trascinato dalla passione”. Tant’è che “Libero” ha ripreso esattamente lo stesso titolo che si riferiva allo scandalo di Ruby con Berlusconi. Ma con due notevoli differenze: la Raggi ricopre una carica pubblica, e le sue implicazioni sexy sono tutte da provare.
Inevitabile, quindi, che il titolo sollevasse le reazioni indignate, innanzitutto da parte del movimento 5 stelle e della Raggi, che ha annunciato una denuncia a “Libero”: “Lo stile manca a chi per attaccare ricorre all’insulto volgare. Immagino le ore passate in redazione per produrre questa rara perla di letteratura.  C’è un retro-pensiero che offende non soltanto me ma tante donne e tanti uomini. Voglio soltanto svelare un segreto a questi fini intellettuali: un sindaco può essere anche donna! Quando chiederò il risarcimento per diffamazione, ovviamente, lo farò, aggiungerò anche 1 euro e 50 centesimi che ho speso per comprare per la prima ed ultima volta questo giornale”. La Raggi ha ricevuto solidarietà anche da altre forze politiche, che hanno accusato Feltri di sessismo.
Alla fine il titolo è stato punito dall’Ordine dei giornalisti, che ha comminato la sanzione della censura al direttore responsabile del quotidiano, Pietro Senaldi (la posizione di Feltri è stata archiviata mancando la prova che avesse deciso lui il titolo).
Questo scandalo non ha comunque fatto cambiare la linea del giornale, che il 15 maggio, per raccontare che i vertici del Pd non avevano partecipato alle pulizie cittadine organizzate a Roma, ha titolato con greve doppio senso: “Renzi e Boschi non scopano”.
Su questa
pagina trovate altri 14 titoli esilaranti di giornali.

PAROLACCE (DIS)EDUCATIVE

“Linguaggio pulito? Una stronzata ”.

Paolo Ruffini all’evento di “Parole ostili” contro il cyberbullismo, Milano, 15 maggio 2017

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IL FATTO

Doveva essere il trionfo del rispetto, dei buoni sentimenti, della buona educazione. Invece si è trasformato in un greve show da osteria. Era la presentazione del “Manifesto della comunicazione non ostile nelle scuole”, un decalogo educativo contro “l’hate speech” promosso da Parole O_Stili e rivolto alle scuole di tutta Italia. Gli organizzatori si sono trovati a Milano, con trentamila studenti collegati in streaming da mille scuole. alla presenza del ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli. Ma “alla fine, ironia della sorte, a far notizia è stato proprio il linguaggio. In particolare, quello usato dal conduttore dell’evento, l’attore comico toscano, Paolo Ruffini” scrive il Corriere della Sera. Un ragazzo sale sul palco e dice una parolaccia. Per Ruffini è il «la»: «Non fatemi dire parolacce — ha attaccato l’attore —, perché ci sono questi signori in giacca e cravatta che non vogliono dica parolacce, ma mi sembra assurdo non dirle, perché voi le dite e mettere una distanza tra me e voi mi sembra una stronzata». E ancora: «Chiedo scusa alla suora, al preside e alle istituzioni, al ministro, a tutti, ma fatemi dire le parolacce. Fatemele dire. Posso dire un’altra cosa? La volgarità non è dire cazzo, ma la violenza. È più volgare uno schiaffo che non dire vaffanculo». E così Ruffini si è sentito legittimato a pronunciare una sequela di espressioni scurrili: “rompimento di coglioni”, “bella ficona mia”, “ti stai cagando addosso”, “dove cazzo vai”, “prendete per il culo”, “state facendo applausi di merda”, “cazzo fai?”….
D’altronde, le parolacce sono uno dei ferri del mestiere dei comici e sono un modo per accorciare le distanze e creare un clima informale. Ma farlo in quantità industriale, e proprio in una giornata dedicata al linguaggio pulito, di fronte ai giovani e ad alte cariche dello Stato è stato un boomerang: tutti i giornali hanno notato la contraddizione stridente fra gli scopi della manifestazione e il modo in cui è stata realizzata. Visibilmente in imbarazzo gli stessi organizzatori, con la ministra Fedeli che ha detto di “essersi tappata le orecchie”. Clamorosa la decisione di Trieste, dove il collegamento è stato interrotto in seguito alle proteste dei docenti e dell’assessore all’istruzione del Friuli Venezia Giulia, Loredana Panariti. 

PAROLACCE MUSICALI

“Oooh merda”.

Radiohead, Berkeley, 18 aprile 2017
(dal minuto 2)

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IL FATTO

Durante un concerto a Berkeley (Usa), i Radiohead hanno fatto un’improvvisazione… colorita. Il cantante Thom Yorke stava improvvisando dei vocalizzi, accompagnato dal chitarrista Jonny Greenwood. I musicisti stavano usando un looper, ovvero un apparecchio in grado di riprodurre all’infinito un frammento musicale (vocale, in questo caso). Ma qualche problema tecnico ha dato noia a Greenwood, che ha esclamato “Oh shit” (Oh merda): ma l’imprecazione è stata catturata dall’effetto, ed è stata ripetuta più volte, diventando un’originale canzone improvvisata fra le risate e gli applausi del pubblico.

PAROLACCE A FIN DI BENE

«Se te ne fotti, l’Aids ti fotte».

Slogan di Anlaids per la Giornata mondiale contro l’Aids
Roma, 1 dicembre 2017

 

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IL FATTO

Lo slogan non passa inosservato. E in effetti è stato scelto proprio per questo motivo: scuotere le coscienze sul fatto che l’Hiv miete ancora tante (troppe) vittime. Anche in Italia, dove si registrano 4mila nuove diagnosi di infezione all’anno. Così l’Anlaids (Associazione nazionale lotta all’Aids) in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids ha scelto questa frase choc per far tornare sotto i riflettori l’allarme Hiv. Unico neo della campagna, l’incongruente espressività dei testimonial (da La Pina a Saturnino): nessuno di loro ha posato in un atteggiamento ironico, allarmato, ammiccante o comunque in linea con il contenuto dello slogan. 

REAZIONE ESEMPLARE

Muntari, insultato dai tifosi, abbandona il campo.

Partita Cagliari-Pescara, Cagliari, 30 aprile 2017

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IL FATTO

E’ il secondo tempo della partita Cagliari-Pescara. A un certo punto il centrocampista del Pescara Sulley Ali Muntari, ghanese, preso di mira con cori razzisti da alcuni tifosi del Cagliari, va dall’arbitro Daniele Minelli a protestare platealmente, chiedendogli la sospensione dell’incontro. Ma il direttore di gara non apprezza i suoi modi concitati e lo ammonisce. A quel punto, il calciatore ghanese lascia volontariamente il campo per protesta.
La notizia fa il giro del mondo: ne parlano tutti i giornali europei, da “Le Monde” al “Guardian”. Due giorni dopo la vicenda, l’alto commissario per i diritti umani dell’Onu Zeid Rahad al-Hussein definisce Muntari “Un’ispirazione per tutti noi”. Ma la vicenda ha rischiato di trasformarsi in una beffa: il giudice sportivo aveva infatti inizialmente squalificato Muntari per un turno, accusandolo di aver abbandonato il campo senza permesso; ma poi la pena è stata revocata.
Contro corrente le riflessioni del vice allenatore del Cagliari Nicola Legrottaglie: «Se Muntari ha abbandonato il campo perché ferito lo posso comprendere e me ne dispiace moltissimo. Ma se lo ha fatto per protesta, lo ritengo il modo sbagliato per cambiare la situazione. Eleanor Roosvelt disse che “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”. Allora non stiamo al gioco di chi vuole farci sentire inferiori! Dimostriamo la nostra superiorità in ciò che facciamo, in questo caso sul terreno di gioco. Uscendo dal campo si rafforza il gesto dei razzisti, enfatizzandolo e portandolo a compimento. Vi ricordate Jesse Owens? Se si fosse ritirato dalle olimpiadi del regime fascista perchè minacciato e gravemente offeso non avrebbe mostrato al mondo la sua superiorità come atleta e come uomo, sgretolando, come ha fatto, la tesi sulla supremazia della razza ariana».

PAROLACCE E POTERE

Donald Trump (Shutterstock).

Perché tornare a parlare degli insulti di Donald Trump? Perché un aspetto è rimasto in ombra: il turpiloquio gli sta dando un potere senza precedenti. Che forse potrebbe esplodergli fra le mani.
Trump ci aveva abituato alle offese durante la sua campagna elettorale: è stato uno dei modi (lo raccontavo in questo articolo) con cui si è presentato come leader innovativo e vicino alla gente. Da quando – un anno fa – è diventato presidente, non ha cambiato stile comunicativo. Ma non è un fatto indolore.
Nell’uso di insulti, Trump somiglia a Silvio Berlusconi: è stato un uomo di spettacolo (ha condotto un talent show, “The apprentice”), ed è un uomo d’affari milionario. Due caratteristiche che gli rendono facile e spontaneo l’uso delle parolacce, sia come elemento di spettacolo, sia come sintomo di una libertà maggiore: in generale, infatti, agli eccentrici – milionari, artisti, vecchi, aristocratici – si perdonano gli eccessi, compreso il linguaggio eccessivo (come raccontavo qui).

Ma Trump non è solo un milionario eccentrico: è il presidente degli Stati Uniti d’America, dunque una persona con un ruolo fortemente simbolico, dotato di ampi poteri e privilegi. Ma questo ruolo è incompatibile con l’uso di insulti. Il presidente di uno Stato democratico, infatti, rappresenta tutta la nazione e non solo la parte che lo ha eletto: additare e offendere nemici interni gli serve a cementare il consenso dei propri supporter, ma aumenta il livore da parte degli avversari. Risultato: negli Usa l’opinione pubblica è fortemente divisa. E Trump sta attirando su di sè molto livore.
Ma non è l’unico effetto negativo: con l’uso degli insulti Trump sta aumentando il proprio potere. Trump è libero di insultare chi vuole, ma non vale il contrario. Come avviene in tutti i Paesi, chi offende la più alta carica di uno Stato rischia sanzioni pesanti. Ma nessun legislatore ha previsto pene particolari se è un presidente a insultare gli altri, proprio perché quel ruolo dovrebbe implicare il rispetto di tutto il Paese che rappresenta. E così, grazie a questo vuoto legislativo, Trump acquisisce un potere senza precedenti: la licenza di offendere.

Il tweet con cui Trump ha annunciato che pubblicherà la lista dei media più disonesti e corrotti.

Dall’alto del suo potere, Trump rompe tutti i tabù di una democrazia, infangando non solo gli avversari politici ma anche le altre istituzioni e la stampa: ciclicamente, infatti, minaccia di pubblicare le liste dei “cattivi giornalisti”. In questo atteggiamento ricorda Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine che (come avevo raccontato) è arrivato a insultare persino il papa e l’Onu.
Trump, insomma, guida gli Stati Uniti come guiderebbe la propria azienda: non tollera controlli e contrappesi al proprio potere. Il suo è un tentativo di corrodere, svilendoli, gli oppositori e chiunque lo critichi. E per arrivare a questo obiettivo, non esita a confondere le acque e mescolare le carte in tavola, tentando di dimostrare che non esistono verità oggettive ma che un’opinione vale l’altra. Perfino in campo scientifico: nei documenti del governo, infatti, al posto di “basato sulla scienza” vorrebbe  l’espressione “raccomandato  in considerazione dei desideri della comunità”.
Ma questa concentrazione di potere non è solo merito (o demerito) suo. Nei mesi scorsi, molti utenti di Twitter avevano protestato perché Trump, a differenza di tutti gli altri utenti, non viene censurato o bloccato quando twitta insulti. Di fronte a questa evidente disparità, il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha dato una risposta disarmante: Trump “non viene silenziato perché ciò che dice fa notizia“. Vero, ma la risposta sembra una forma di piaggeria verso il potente. E vuol dire anche che se Trump insulta qualcuno fa salire l’audience – e quindi i guadagni – dei media. Insomma, in cambio di denaro e visibilità un mezzo di comunicazione rinuncia alla giustizia e all’equità.
Questo scenario, comunque, non è esente da rischi per Trump:  molte delle sue prese di posizione si trasformano in boomerang, perché con gli insulti manca di rispetto a chi non la pensa come lui. E’ un atteggiamento incompatibile con una democrazia, tant’è che in molti casi Trump ha dovuto tornare sui propri passi. Gli attacchi frontali di Trump sono in realtà il sintomo della sua debolezza: spesso li usa per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da problemi più grandi e pressanti (come ad esempio le inchieste sul Russiagate che lo riguardano). Ma forse non ha messo in conto che, attaccando gli altri, rende legittimo anche il contrario: se lui è il presidente solo di una parte del Paese, l’altra parte può sentirsi legittimata ad attaccarlo e svilirlo a sua volta.
 Difficile prevedere come andrà a finire. 

Hanno parlato di questo articolo AdnKronos e l’Indro.

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