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Papa Francesco e gli insulti

Papa Francesco gesticola durante un discorso (Shutterstock).

Può un papa, la più alta autorità religiosa, pronunciare una valanga di insulti? Un blogger inglese, Lenny Detroit, ha raccolto oltre un migliaio di espressioni “forti” dette dal pontefice dal 2013 a oggi. Ha pubblicato questa antologia in un sito, che ha ribattezzato “Il libro degli insulti di papa Francesco”.
Ma davvero Bergoglio ha pronunciato così tanti insulti? Nei confronti di chi, e perché?
La notizia non è una bufala: Detroit, che nella vita fa il giardiniere, ha linkato ciascuna espressione a una fonte (lanci di agenzia, articoli, sito del Vaticano), dunque è tutto documentato e verificabile (per chi vuole, qui). Un lavoro immane. Che cosa abbia spinto Detroit a raccogliere con pazienza così tante testimonianze non si sa: gli ho scritto per chiedergli un’intervista ma non mi ha mai risposto.
In ogni caso – come scoprirete in questo articolo  – non è corretto classificare queste espressioni come “insulti”. Sono critiche anche taglienti, ma non di più.
Ed è giusto metterli sotto i riflettori: le parole (comunque dirompenti) usate da papa Francesco mostrano, più di ogni altro segnale, la novità del suo modo di comunicare, che non ha precedenti negli ultimi papi che abbiamo conosciuto.
Il suo linguaggio, infatti, è rivoluzionario nei contenuti e nello stile. Studiandolo, si capisce la personalità del papa, sincera e appassionata. Un uomo che rifugge l’ipocrisia e l’indifferenza, e ha il coraggio di prendere posizione, cercando di far arrivare il suo messaggio a tutti. Scuotendo, quando è il caso, le coscienze dal torpore.
Qualcuno si è impressionato per questo: ma perché un papa non dovrebbe schierarsi, anche in modo deciso? Credo, anzi, che sia doveroso per un leader spirituale non essere indifferente, vago o cerchiobottista….

Dunque, anche nella polemica, quello di Bergoglio è un linguaggio rivelatore. Ma quali “insulti” ha detto concretamente il papa? Ecco i più notevoli:

  • vecchie comari
  • sgranarosari
  • untuosi e idolatri
  • adoratori del dio Narciso
  • vanitosi e farfalloni
  • banderuole
  • marci nel cuore
  • deboli fino alla putredine
  • dal cuore nero
  • mummie da museo
  • truffatori

Di certo non sono complimenti. Ma possono definirsi insulti? Per rispondere, dobbiamo stabilire cos’è un insulto.

Definire un insulto

Dire a qualcuno che è un imbecille o un  rompiballe significa esprimere un giudizio fortemente negativo su di lui per ferirlo nel profondo ed emarginarlo.
L’insulto è una forma di aggressione verso una persona (deriva dal latino insultare, saltare addosso) per esprimere un’emozione negativa: odio o disprezzo. Gli insulti con la “i” maiuscola sono quelli espressi attraverso un registro basso, volgare, ovvero con parole che in una conversazione educata non si userebbero mai. Dunque, riassumendo, ecco le caratteristiche degli insulti:

contenuto emozione mezzo scopo
giudizio fortemente negativo su una persona, qualificata come “anormale” (= fuori norma) odio, disprezzo lessico volgare, registro basso ferire nel profondo, emarginare, far perdere la faccia

Negli insulti rientrano gli stigmi, ovvero gli stereotipi contro intere categorie di persone: gli insulti etnici (negro, terrone), quelli sull’orientamento sessuale (ricchione) o religioso (infedele), quelli sull’aspetto fisico (ciccione), la malattia (tossico, mongolo). Gli stigmi sono anche chiamati hate speech, discorsi d’odio, o anche fighting words, parole di combattimento, perché spesso sono la miccia che innesca reazioni violente.

Un lessico ricercato

L’immagine di copertina del “libro” degli insulti (“sourpusses” significa musoni).

Dunque, possiamo definire insulti le espressioni usate dal papa? Soddisfano tutti e 4 i requisiti di queste parole offensive?
No. Innanzitutto, il papa non utilizza un lessico volgare: anzi, spesso le sue sono espressioni neutre e con riferimenti intellettuali dotti. Come “pelagiani” (= chi non crede nel peccato originale, ritenendo che l’uomo possa quindi salvarsi dai peccati da solo; dal monaco britannico Pelagio, 5° secolo), “gnostici”  (= chi fa affidamento sulla sola ragione e non sulla fede; da un movimento filosofico del 3° secolo); “prometeici” (= da Prometeo, mitologico eroe greco, simbolo del progresso e della sfida agli dèi). Il papa usa anche riferimenti attuali come  cristiani liquidi” (= con un atteggiamento mutevole nei confronti del mondo; la società “liquida” è un’espressione usata dal sociologo Zygmunt Bauman) e “turisti esistenziali“, ovvero persone che si professano cattoliche senza in realtà crederci e tradurre in pratica la loro fede.
Basta già questo aspetto lessicale per non qualificare le parole del papa come insulti. Ma per capire gli scopi comunicativi di queste espressioni, bisogna vedere in quale contesto sono state dette. Una vera analisi linguistica deve tenere conto delle intenzioni di chi parla e di chi sono i suoi destinatari. Questo ci aiuterà a capire se – per scopi ed emozioni espresse – le frasi del papa siano classificabili come insulti o no. A chi sono indirizzate? E con quali intenzioni?

Quando il nemico è dentro

La prima sorpresa è che non sono rivolte a nemici esterni (miscredenti, islamici o altro) ma sono indirizzate all’interno della Chiesa: ai cattivi cristiani e soprattutto ai cattivi sacerdoti.
Bergoglio se la prende con i preti “vanitosi e farfalloni”, “magnati, “venditori di gomme; “che hanno il cuore amaro come l’aceto, chiusi nella formalità di una preghiera gelida, avari, sterili nel loro formalismo”. Con i seminaristi che stringono i denti aspettando di finire gli studi, che seguono le regole e sorridono, e rivelano l’ipocrisia del clericalismo, uno dei mali peggiori”. E con i “vescovi da aeroporto” (sempre in giro per il mondo e poco attenti al proprio territorio)…
Diversi cattolici hanno storto il naso di fronte a queste prese di posizione: avrebbero preferito che il papa si scagliasse, per esempio, contro i miscredenti.

Papa Bergoglio ammonisce i fedeli (Shutterstock).

E invece Bergoglio si concentra soprattutto all’interno della Chiesa, e non mi sembra una scelta strana: se i cattolici sono sempre meno, non è solo perché viviamo in una società laica, atea, materialista. E’ anche perché ricevono un cattivo esempio proprio da chi non dovrebbe darlo, ossia i preti. E Bergoglio non ama l’incoerenza e l’ipocrisia: in più occasioni ha detto apertamente di detestare gli adulatori (che ha chiamato “leccacalze”) e il formalismo che “maschera aridità dell’animo e disinteresse”. Dunque, per rifondare la Chiesa, papa Francesco considera prioritario lavare i panni sporchi in casa propria.
E lo fa usando espressioni emotivamente cariche (cortigiani lebbrosi, untuosi e idolatri), immagini icastiche e taglienti (cristiani con la faccia da sottaceto, musi lunghi, facce da funerale, che ripetono il Credo pappagallescamente).
Come ha scritto Antonio Spadaro, direttore della “Civiltà cattolica” e gesuita come il papanel libro “Il vocabolario di papa Francesco” (Elledici): “per papa Francesco il predicatore è una madre, usa un linguaggio “materno” cioè semplice, capace di ricorrere a immagini concrete, comprensibile da chiunque. Il discorso di Francesco si tende fino ad avvicinarsi al linguaggio reale, di strada”. Non a caso, mi ero già occupato di due parolacce del papa in quest’altro post.

Una scossa a fin di bene

Bergoglio con sua madre.

Sono tutte immagini che hanno uno scopo più pedagogico che distruttivo o offensivo: prendono una posizione critica, ma non per annientare o emarginare i destinatari, bensì per scuotere le coscienze, far riflettere e indurre a cambiare rotta. Come farebbe una madre severa con un figlio indisciplinato: e non a caso uso questa metafora, dato che più volte il papa ha paragonato l’amore di Dio a quello di una mamma. Anche a proposito delle parolacce: “Quando ero in 4a elementare dissi una brutta parola alla maestra, che convocò mia madre” ha raccontato Bergoglio. “La mamma, davanti alla maestra, mi ha spiegato che era una cosa brutta e mi ha chiesto di chiedere perdono alla mastra. Io l’ho fatto e sono rimasto contento, ma quello era il primo capitolo: tornato a casa incominciò il secondo capitolo… immaginatevi voi”.

Papa Francesco, del resto, è molto attento alle parole come alle parolacce. Più volte ha ricordato che “insultare è fare una ferita nel cuore degli altri” avvertendo che “chi insulta il fratello lo uccide nel cuore”: è un “terrorismo della lingua, come buttare una bomba”. Chi chiacchiera contro un’altra persona è crudele perché ne distrugge la fama”. Di qui il suo appello a moderare il linguaggio: “essere mite non significa essere stupido, significa dire le cose con tranquillità, senza ferire”.
E allora come si spiegano i suoi strali? Semplice: per papa Francesco la moderazione non è sinonimo di silenzio o di indifferenza. “Ognuno ha l’obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! Se un deputato, un senatore non dice quella che pensa sia la vera strada, non collabora al bene comune. Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente”.

Cattivi esempi e immagini sferzanti

Gesù scaccia i mercanti dal tempio (Heinrich Bloch).

Dunque, alla luce di queste considerazioni, le espressioni del papa sono diverse dagli insulti non solo perché non usano un lessico volgare, ma anche per gli scopi che perseguono e per le emozioni che esprimono: non vogliono annichilire o emarginare i destinatari, ma additarli pedagogicamente come cattivi esempi da non seguire. Non esprimono odio ma una condanna morale: indignazione. Se vi sia anche una venatura di disprezzo, è difficile desumerlo: il Vangelo predica il perdono, ma perdonare non significa cancellare. E comunque, nell’indicare un comportamento sbagliato bisogna pur prenderne le distanze.
Dunque, delle 4 caratteristiche tipiche degli insulti, le frasi di Bergoglio hanno solo un aspetto insultante: sono giudizi negativi. Non esprimono odio bensì un forte dissenso polemico. Sono espressioni critiche. Non usano termini volgari, e mantengono così il rispetto verso i destinatari: sono messi all’indice ma non annientati o sviliti nella loro dignità.
Dunque, più che insulti, le espressioni del papa sono definibili più come metafore sferzanti, epiteti (cioè immagini descrittive), al servizio di un discorso polemico, di acerbo rimprovero: l’invettiva. Un genere letterario che è stato usato da intellettuali animati da grande passione politica, come Dante Alighieri, e da chi ha scosso le coscienze perché animato da ideali religiosi, come i profeti. Basti ricordare che l’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse definì senza mezzi termini Roma una “prostituta”. E non è l’unico esempio biblico: trovate gli altri sul mio libro.

Cacca, coprofili e coprofagi

Giornali scandalistici inglesi.

Dunque, i cosiddetti insulti di papa Francesco sono in realtà immagini graffianti, nella terra di confine fra filosofia e poesia. Bergoglio è un profeta passionale educato dalla disciplina intellettuale dei gesuiti.
Per onestà di cronista, segnalo che una di queste l’ha rivolta alla categoria a cui appartengo, quella dei giornalisti. Commentando le notizie negative sui preti, il papa ha detto che spesso gli articoli sono scritti al solo scopo di fare scandalo. I giornalisti invece devono “essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto danno”.
La coprofilia è la morbosa attrazione verso gli escrementi, e la coprofagia è il comportamento di chi li mangia. Per rispetto il papa ha usato un termine medico. Ma il contenuto di quelle immagini, tradotto in parole povere, significa che secondo lui i giornalisti che amano gli scandali sono merdofili e il pubblico che li segue è come chi mangia merda.
Giudizio pesante, ma sono d’accordo. Anzi, spero che Bergoglio prenda le stesse posizioni nette anche contro i signori della guerra, la finanza cinica, i politici corrotti, gli inquinatori planetari….
E sempre a proposito di escrementi, va aggiunta l’unica volta in cui Bergoglio ha usato un termine volgare,
“cacca”: lo ha fatto nel 2018 in Irlanda, parlando alle vittime di abusi sessuali, per qualificare i vescovi che hanno insabbiato i casi di pedofilia: un appellativo tratto dal linguaggio infantile, certamente di registro basso ma non greve (è ben peggio “merda”) e comunque indirizzato a persone che hanno compiuto scelte gravi. Ne ho parlato in questo articolo.

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