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Dracula, zoccola e minchia morta: insulti in aula

Puttana, figlio di puttana, pezzo di merda, ladro e coglione. Sono – in ordine decrescente– gli insulti che più spesso spingono gli italiani a denunciare chi li dice, per fargliela pagare (in tutti i sensi). L’ha scoperto un avvocato cassazionista siciliano, Giuseppe D’Alessandro, che ha avuto un’intuizione preziosa: raccogliere le sentenze sui reati di ingiuria, oltraggio e diffamazione degli ultimi 121 anni. Il quadro che ne risulta, raccontato nel libro “Bestiario giuridico 2” (Angelo Colla editore), è quantomai ricco: non solo dal punto di vista giuridico, ma anche dal quello del costume e della lingua (a parte alcuni errori). Tanto da poter essere considerato, dopo la ricerca sugli insulti a Mussolini, il secondo “figlio legittimo” di “Parolacce.

Le parolacce, infatti, possono essere usate come armi che danneggiano un bene impalpabile: l’onore, ovvero il rispetto e la stima degli altri. Forse il nostro bene più prezioso, diceva San Tommaso d’Aquino: “l’insulto è peccato mortale, perché toglie a un uomo le testimonianze di onore e di venerazione che gli sono dovute. Perché una persona ama il proprio onore non meno delle sue proprietà”. Non a caso, fra le innumerevoli leggi italiane ce ne sono diverse (nel mio libro ne ho censite una trentina) che puniscono proprio gli insulti.

L’avvocato D’Alessandro, che ha avuto l’idea della ricerca durante i tempi morti fra un’udienza e l’altra nei palazzi di giustizia, ha esaminato 912 sentenze emesse tra il 1890 e il 2011: un numero considerevole, anche se ben lontano dall’essere rappresentativo di tutti i processi per ingiuria, oltraggio e diffamazione che, secondo le sue stime, potrebbero essere nell’ordine di 150-200 mila l’anno (il 6% del totale); di questi ne arrivano in Cassazione – l’ultimo grado di giudizio, quello che “fa giurisprudenza” – circa un migliaio l’anno. Ed ecco altre curiosità che emergono dal libro di D’Alessandro.

INSULTI. I termini spregiativi citati nelle sentenze di D’Alessandro sono 612: oltre alle parolacce “classiche”, ce ne sono molte creative. Comprese le parolacce “agite”, ovvero i gestacci, le pernacchie, gli sputi, il lancio di letame, di scarpe o di bombolette puzzolenti. Divertente la carrellata sugli insulti, anche indiretti: un uomo è stato condannato per essersi rivolto a un pubblico ufficiale dicendogli: “Io non ho lo scolo in testa!” (= io non ho una malattia venerea in testa = io non sono una testa di cazzo, mentre tu lo sei!). I giudici, poi, puniscono anche le frasi sarcastiche: un cliente deluso è stato denunciato dal suo stesso legale per avergli inviato un vaglia intestato “al celebre ed illibato ed onesto avvocato…”.

Passando agli insulti veri e propri, tra quelli finiti sulle carte bollate figurano anche espressioni insolite come: ammazzasentenze, atzarese (abitante di Atzara, Nuoro), buco a puzzoni, canchero, diesel fumoso, diffidato di questura, faccia di porfido, farneticazioni uterine, insabbiatore, insolvente, maneggione, manghiatone, manutengolo, minchia morta, noisette, piffero di montagna, realburinismo, superiniquinatore, testa di mattone, traffichino, trillo e frillo, vecia, verginello, zombi.
Colpisce il fatto che numerosi insulti sono di matrice storico-letteraria o ispirati dalla cronaca: Ceausescu (dittatore rumeno), Cicciolina, demiurgo, degasperino, don Abbondio, don Chisciotte, don Rodrigo, dracula, Innominato, khomeinista, lewinskiana, Mata-Hari, moscovita, Pacciani, Previti, Scelba, Travet, Willy il coyote, zio Paperone. In sostanza, questi epiteti sfruttano il meccanismo dell’antonomasia: se una persona (o un personaggio fittizio) incarna un vizio, il nome di quel personaggio diventa l’emblema del vizio stesso, in una equivalenza abbassante: Zio Paperone=tirchio.
A proposito dell’Innominato, D’Alessandro racconta un aneddoto divertente: nel 2000 un pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione di una denuncia ritenendo non oltraggioso questo soprannome (nei “Promessi sposi” l’Innominato era un malvagio che poi si convertì al cristianesimo). Ma la parte offesa impugnò il provvedimento, arrivando a chiedere una perizia sui “Promessi sposi” per valutare se l’Innominato fosse un personaggio negativo o positivo: richiesta che fu poi, fortunatamente, respinta. Quanto sarebbe costata una perizia del genere?

STATISTICHE. Quali sono gli insulti che più spesso sono arrivati nelle aule di tribunale? Come potete vedere nel grafico a lato (fare clic per ingrandire) l’espressione largamente vincente è puttana (usato nel 5,7% dei casi, compresa la variante “figlio di puttana”, che però andrebbe classificato a parte perché non è un insulto sessista), seguita da merda (3,1% con le varianti “pezzo di merda” e “faccia di merda”), ladro (3%), coglione (2,5%), culo e troia (2,2%), bastardo (2%), disonesto (1,7%), stronzo (1,5%), cornuto (1,3%), bugiardo (1,2%).


Aggregando i termini per area semantica, emerge un quadro ancor più interessante: gli insulti più denunciati sono quelli che mettono in dubbio le doti mentali di una persona (34%: coglione, ignorante, cretino), seguiti da quelli che criticano la capacità di convivenza sociale (27%: ladro, bugiardo, corrotto, fascista) e sulla morale sessuale femminile (20%: puttana). Seguono gli insulti che esprimono disgusto morale verso un’altra persona (13%: merda, schifoso), e, fanalini di coda, quelli che attaccano la morale sessuale maschile (3%: cornuto, porco), le doti fisiche (2%: handicappato) e le origini etniche (1%: marocchino).
D’Alessandro ha poi confrontato queste statistiche ai risultati del mio volgarometro, elaborando il “giurinsultometro”. Il risultato? Gli insulti a più alta carica offensiva, rilevati dal volgarometro,  sono proprio quelli che più spesso spingono gli italiani a chiedere giustizia in tribunale. 

Campagna dell’Arci contro razzismo e omofobia con i parlamentari del Pd Jean-Léonard Touadi e Anna Paola Concia (2009).

CONTRADDIZIONI. Un’ultima notazione sulle sentenze. Molte sono straordinariamente efficaci ed equilibrate, ma molte altre sono, almeno apparentemente, contraddittorie: per fare un esempio, con una sentenza la Cassazione ha condannato con l’aggravante dell’odio razziale una persona qualificandola come “sporca negra” in quanto “combina la qualità negativa al dato razziale, e “non risulta adottata in occidente alternativamente l’espressione sporco giallo, né in Africa o Cina sporco bianco”. Eppure la stessa Cassazione in un’altra sentenza non aveva riconosciuto l’aggravante a un commerciante di Treviso che aveva apostrofato un Senegalese con l’espressione “nero di merda”. Perché queste contraddizioni? Non solo perché la percezione di un insulto può essere soggettiva (cioè dipende dal contesto, dall’epoca, dai toni utilizzati, dalla sensibilità dei parlanti e dei giudici…), ma anche perché i giudici spesso non consultano gli studi linguistici sul turpiloquio, che peraltro, fino a pochi anni fa, erano pressoché inesistenti. Ora, però, non hanno più questo alibi.

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4 Comments

  1. Certo che il termine “Atzarese” è un vero insulto eh…
    Da abitante di quel piccolo, ma bellissimo paese del centro sardegna in provincia di Nuoro, ATZARA, vado fiero di essere un ATZARESE!

  2. Ma perchè nn vi informate!!! Io voglio sapere chi vi da queste notizie! Atzara come insulto, l”isulto lo meritate voi!

    • Ci siamo informati, eccome. Le notizie le riporta il libro “Bestiario giuridico 2″ di Giuseppe D”Alessandro, che è un avvocato serio. Che, a sua volta, ha riportato la notizia da una sentenza di Tribunale: evidentemente, qualcuno ha usato la parola “atzarese” come insulto, in senso spregiativo. E chi ha ricevuto questo appellativo si è sentito offeso e l”ha denunciato. Sono certo che atzarese NON è un insulto (ci mancherebbe) però c”è qualcuno che non la pensa così.
      Di fatto, qualsiasi parola può essere usata come insulto: è l”intenzione di chi parla a trasformare una parola neutra in una parola offensiva. Dunque, gli atzaresi non se ne abbiano: qualsiasi paese o città può diventare insultante, se viene pronunciata in maniera insultante. Anche “londinese” o “triestino”, per dire due nomi a casaccio. E” chiaro, adesso? Spero di sì! Saluti ad Atzara.

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