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La prima parolaccia della storia (d’Italia)

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La prima parolaccia della storia d’Italia: “Fili de le pute”, figli di puttana.

Le parolacce italiane hanno un record che nessun’altra lingua al mondo può eguagliare: la sua prima parolaccia ha quasi mille anni, appare nel primo fumetto della Storia ed è stata scritta in una chiesa. Sembra incredibile, ma è tutto vero. E la storia merita di essere raccontata perché – come spesso accade quando si parla di parolacce – è ingiustamente trascurata. E anche perché ci ricorda che il sacro e il profano sono più vicini di quanto possa sembrare.

Nei libri di storia della letteratura, infatti, quando si parla dei primi documenti della letteratura italiana, si citano i placiti cassinesiSono 4 pergamene, scritte intorno al 960: riportano le testimonianze di alcuni contadini in merito all’appartenenza di alcune terre ai monasteri benedettini. Nulla di artistico, quindi: queste pergamene sono entrate nella storia della letteratura perché sono la prima prova della transizione dal latino all’italiano, attraverso il volgare: la lingua usata dal popolo, che aveva mescolato il latino ai dialetti regionali e alle lingue dei “barbari” (germanici, slavi).
All’inizio il volgare era usato solo nel linguaggio orale, e poi, gradualmente, iniziò ad essere usato anche nei testi scritti. Da questo linguaggio pieno di contaminazioni sono nati l’italiano e le altre lingue neolatine (francese, spagnolo, portoghese).

Ma tra i primissimi documenti “volgari” (e qui uso volutamente un termine ambiguo) quasi tutti i libri di storia della letteratura si dimenticano di citare una parolaccia che appare in un edificio di culto di Roma: la chiesa di San Clemente in via Labicana, a 500 metri dal Colosseo. Una basilica a tre livelli sovrapposti, con meravigliosi mosaici e una lunga storia. Se siete a Roma per il giubileo, merita una visita anche per questo. 

E’ una “basilica minore”, cioè uno dei più importanti edifici di culto italiani. La chiesa, costruita fra il 1084 e il 1100, ospita diverse pitture bizantineggianti che illustrano la vita di papa Clemente, il quarto papa della storia (dall’88 al 97). Nella parte sotterranea della basilica, la più antica, sulle pareti ci sono diverse pitture bizantineggianti che illustrano la vita del papa. Ed è proprio in una di queste che appare la prima parolaccia della nostra letteratura.

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Papa Clemente.

Della vita di papa Clemente si sa poco. A lui sono attribuiti vari miracoli, uno dei quali è illustrato dal dipinto di cui vi parlerò in questo post: è lì che è contenuta la prima parolaccia della letteratura italiana.
La storia è questa. Un ricco prefetto romano amico dell’imperatore, Sisinnio, era convinto che Clemente fosse un mago e che avesse come unico scopo quello di portargli via la bella e procace moglie Teodora. Lei, infatti, si era convertita da poco al cristianesimo, e si incontrava spesso con Clemente e con altri fedeli per partecipare alle cerimonie sacre. Un giorno Sisinnio la seguì di nascosto, entrando in una chiesa sotterranea. Finita la messa, si accorse con terrore che era diventato cieco e sordo. Lo riportarono a casa con fatica. E Clemente lo andò a trovare: dopo che ebbe pregato per lui, Sisinnio si riprese, ma quando vide davanti a sè Tedodora e Clemente che lo guardavano sorridendo l’uno accanto all’altra, gli prese un attacco di rabbia. Chiamò i due servi, Gosmario e Albertello, e ordinò loro di legare e portare fuori da casa sua quel vescovo depravato. Ma per intervento divino, i servi si trovarono a trascinare non Clemente, ma una pesantissima colonna.

Il dipinto raffigura proprio quest’ultima scena: Sisinnio ordina a Gosmario e ad Albertello di trascinare i prigionieri catturati, che in realtà sono colonne. E Clemente li ammonisce dicendo  che, per la durezza del loro cuore, ora sono costretti a trascinare pietre. Vicino ai personaggi, e questa è la particolarità del dipinto, sono scritte le frasi che pronunciano. E’ il primo fumetto della Storia. E queste frasi sono state scritte in volgare: è la prima testimonianza d’uso del volgare per scopi artistici, letterari, dato che è usato per raccontare una storia. Ecco che cosa dicono i personaggi:

SISINIUM: “Fili de le pute, traite”

GOSMARIUS: “Albertel, trai”

ALBERTELLUS: “Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!”

SANCTUS CLEMENS: “Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis”.

SISINNIO: “Figli di puttana, tirate!

GOSMARIO: “Albertello, tira!”

ALBERTELLO: “Fa’ leva da dietro col palo, Carboncello!”

SAN CLEMENTE: “A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi”.

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Il dipinto con il primo fumetto e la prima parolaccia della storia.

Eccola, dunque, la prima parolaccia: “Figli di puttana!”. Notevole che sia stata scritta sul muro di una chiesa, ma non è turpiloquio gratuito né blasfemo: è dettato da precise esigenze di realismo narrativo. Sisinnio e i suoi soldati erano mostrati come gentaglia incolta, e quindi usavano un linguaggio basso, infarcito di parolacce: il loro modo di parlare li squalifica, presentandoli come persone grezze. Tant’è vero che, per contrasto, San Clemente parla in un raffinato latino (per quanto impuro).

L’affresco di San Clemente non è un caso isolato, negli albori della nostra lingua. Circa un secolo dopo, il grammatico bolognese Guido Fava (1190-1243) scrisse un componimento dotto sul contrasto fra quaresima e carnevale, un genere che allora era in voga.
Fava immaginava che la quaresima scrivesse al carnevale una lettera per insultarlo: «Tu sai bene che noi conosemo le tue opere, e le tue iniquità sono a noi maniffeste; ché tu se’ fello (fellone) e latro, ruffiano, putanero, glotto, lopo, ingordo e leccatore, biscaçero, tavernero, çogatore (giocatore), baratero, adultero, fornicatore, omicida, periuro (spergiuro), fallace, traditore, ingannatore, mençonero (menzognero), amico de morte e pleno de multa çuçura (zozzura)». Notevole che la quaresima si esprimesse in questi termini… Tempo un altro secolo, e arriveranno le vette artistiche di Boccaccio e Dante, che inseriranno le parolacce nei loro capolavori. Ma questa è un’altra storia….

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6 Comments

  1. Una nuova opportunità per tradurre una frase in “cultura” , in una analisi di “costume”. Un profilo che meriterebbe un seguito, anche se oneroso. Complimenti, ma ho la certezza che è una strada che porta lontano. Anche a Pompei c’è “materiale” analogo. Buon lavoro.

  2. Bellissimo articolo… primo fumetto, prima parolaccia, primo uso del volgare a scopo narrativo. Se passo per Roma so già dove andare!

  3. Articolo interessantissimo. Ma probabilmente, la frase viene detta solo da Sisinnio, ovvero ordinare a Gosmario, Albertello e Carboncello di tirare. Buona continuazione.

    • Certo! Non è mica Clemente a macchiarsi con una frase del genere: l’autore degli affreschi ha voluto rappresentare la volgarità dei soldati romani, in contrapposizione alla santità di Clemente. Grazie del suo intervento

  4. Mi dispiace dover segnalare che quello del San Clemente non è il primo fumetto della Storia. Certamente è tra i più antichi, ma non il primo.

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