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Parolacce: roba da matti?

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Una scena del film “Si può fare”.

Ci sono film che ti toccano nel profondo. E ti fanno pensare. Il film “Si può fare”, di Giulio Manfredonia, uscito poche settimane fa, mi ha fatto questo effetto. Ambientata nella Milano degli anni ’80, è la storia di Nello (Claudio Bisio), sindacalista scomodo, che viene mandato a gestire una cooperativa di lavoro per il reinserimento di malati di mente usciti dai manicomi. La storia non ve la racconto: merita di essere vista perché è fatta con il cuore, tanto da compensare alcuni difetti nella narrazione e negli attori (mica facile, comunque, interpretare un malato di mente senza scadere nella macchietta).
Dicevo, il film mi ha ispirato alcune riflessioni per il nostro blog. Mi sono chiesto: la parolaccia può essere sintomo di un disagio o di una malattia mentale? La domanda è molto delicata: ancora oggi, essere etichettato come “malato di mente” significa essere emarginato. E aggiungere sofferenze a sofferenze.

Paul Broca.

Paul Broca.

Quando ancora la neurologia muoveva i primi passi, per esempio, nel 1800 il neurologo Paul Broca ebbe in cura un paziente afasico (Leborgne, detto “Tan-Tan”): non riusciva a parlare perché aveva leso un’area del cervello – poi chiamata in suo onore area di Broca, nell’emisfero sinistro – che controlla il linguaggio. Eppure Leborgne riusciva a dire “Sacro nome di Dio!” quando si arrabbiava. Perché – si è scoperto poi – le parolacce sono controllate dall’altro emisfero, il destro. Dunque, grazie alla neurologia si è scoperto che le parolacce possono sopravvivere all’afasia; e non sono un “sintomo”, bensì uno dei pochi campi di libera espressione dei malati che hanno perso l’uso di tutte le altre le parole.

Il cervello di Leborgne: si nota l'area cerebrale lesionata (foto B) nell'emisfero sinistro.

Il cervello di Leborgne: si nota l’area cerebrale lesionata (foto B) nell’emisfero sinistro.

Detto per inciso, proprio la recente conoscenza della specializzazione delle aree cerebrali spiega altri fatti sorprendenti. Per esempio il motivo per cui i pazienti che hanno avuto lesioni cerebrali per incidenti, tumori, ictus, possono perdere la parola (diventare cioè afasici) ma non le parolacce: in questi casi,la lesione cerebrale è nell’emisfero sinistro,e non nel destro (quello che controlla le parolacce).

Diverso il caso della “coprolalia”: l’impulso irrefrenabile, ripetitivo e a sproposito di dire parolacce. È un sintomo di varie malattie neurologiche che mettono fuori uso le aree cerebrali che controllano i nostri freni inibitori. È il caso della sindrome di Tourette: una malattia neurologica di origini ignote, che costringe i pazienti ad avere numerosi tic, sia motori che verbali: fra questi rientra l’impulso incontrollabile a dire frasi oscene o a fare gestacci.
Alcuni studiosi pensano che Wolfgang Amadeus Mozart – che usava parolacce in modo intensivo – ne fosse malato, ma come ho scritto nel mio libro,penso che la spiegazione del linguaggio sboccato di Mozart sia più semplice.

Ricostruzione delle lesioni di Phineas Gage.

Ricostruzione delle lesioni di Phineas Gage.

È il caso anche della demenza senile: i nonni diventano incontrollabilmente sboccati perché hanno danni cerebrali. Lo stesso capita a chi soffre di epilessia, gravi intossicazioni da monossido di carbonio, e anche incidenti: come capitò a Phineas Gage, operaio americano a cui nel 1848 si conficcò una sbarra nel cranio. Si salvò, ma il danno cerebrale ne cambiò la personalità, trasformandolo in un bestemmiatore incallito.

 Il discorso diventa più delicato (perché nessuna risonanza magnetica può accertare la diagnosi) nelle malattie mentali. La scatologia telefonica (o coprofemia o pornolalia), ovvero la mania di fare telefonate oscene per ottenere piacere erotico o umiliare. È senz’altro una forma di malattia (e di violenza) soprattutto se è irrefrenabile, se è l’unica fonte di piacere e se all’altro capo della cornetta c’è una persona non consenziente.

A volte l’impulso irrefrenabile a dire parolacce deriva da una nevrosi ossessiva, cioè da profondi conflitti interiori, ma il campo è complesso: a volte,come ha mostrato Sigmund Freud in molti casi clinici, è proprio l’incapacità a dire una parolaccia ad essere sintomo di una difficoltà, di un blocco, per esempio in campo sessuale.

Non fidatevi, quindi, di quanti, sbrigativamente, affermano che “chi dice tante parolacce non è capace di parlare, di vivere, di essere integrato nella società”: per gli adolescenti, invece, le parolacce sono uno strumento importante di autoaffermazione, un modo per dire: “Io sono diverso da tutti quanti voi, da questa società di merda”. A volte esagerano, ma a volte hanno ragione loro. Anche a essere incazzati: quanti (fra politici, docenti, genitori) si prendono davvero cura di loro, offrendo attenzione e aiuto?

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