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Ma “pirla” è un insulto?

Roberto Formigoni

Secondo il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni «a Milano dare del pirla a una persona non è un insulto». Se avesse ragione, sarebbe una notizia clamorosa: sarebbe come togliere, con licenza parlando, la “minchia” ai siciliani. Per insultare qualcuno, allora, i milanesi dovrebbero usare sinonimi meno efficaci, come “bamba”, “bigolo”, “ciula”?
L’auto-assoluzione di Formigoni è avvenuta durante un’accesa seduta del Consiglio regionale dedicata ai 10 politici lombardi finiti sotto inchiesta. Un consigliere dell’Idv, Stefano Zamponi, aveva chiesto le dimissioni della giunta, accusando il presidente di aver fatto solo il politico in vita sua. Formigoni gli ha urlato un «informati, pirla!» ed è scoppiata la bagarre: Zamponi si è sentito ingiuriato, il governatore non si è rimangiato la frase e le opposizioni hanno lasciato l’aula.

Chi ha ragione? Davvero “pirla” ha perso ogni carica offensiva? Formigoni ha citato due sentenze del Tribunale di Milano, secondo cui pirla «non è una parola che leda l’onore e il prestigio della persona». Sarà. Di certo, nel 2006, la suprema Corte di Cassazione, con una sentenza che fa giurisprudenza (la n° 4036), ha ribadito esattamente il contrario.
Ma per capire meglio questa parola, più che le sentenze (che giudicano sempre episodi particolari, con molti fattori in gioco), può aiutarci la linguistica. Che significa “pirla”?
Un premio Nobel per la letteratura, Eugenio Montale, l’aveva definita «una parola non traducibile». Vero: pirla è una parola ricca di significati. In milanese, “pirlare” significa girare come una trottola. Questa immagine ha dato poi origine a due sensi traslati: uno popolare, ovvero “uomo sciocco e goffo, facile da raggirare”; e uno più volgare, come sinonimo di “pene“, da sempre considerato un elemento privo di intelligenza. In ogni caso, quindi, un termine offensivo. Ma quanto?
Gli insulti, infatti, hanno una gradazione: ci sono quelli pesanti e quelli bonari. Non solo: col variare delle sensibilità e delle epoche, un insulto grave (come “marrano“) può diventare morbido, e viceversa.
E com’è la quotazione del “pirla”? Secondo gli oltre 2.600 partecipanti al “volgarometro”- un sondaggio sulle parolacce italiane che ho lanciato sul mio blog nel 2009 – “pirla” ha una offensività media: in una scala da 0 a 3 sta a 1,3. A pari merito con “barbone”, “bimbominkia”, “ignorante”.
Dunque, una parolaccia a due facce: la si usa con facilità verso se stessi (come fece l’ex tesoriere della Lega, Alessandro Patelli, arrestato nel 1993 per la maxi-tangente Enimont) o verso i propri amici (è l’epiteto più usato da Umberto Bossi contro i compagni di partito); ma se la si riceve, dà fastidio. Tanto che l’allenatore portoghese José Mourinho nel 2008, arrivato a Milano per allenare l’Inter, tenne subito a precisare che «Io non sono un pirla». Come diceva Montale: «I pirla non sanno di esserlo. Se pure ne fossero informati tenterebbero di scollarsi con le unghie quello stigma». Con buona pace di Formigoni.

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale”Oggi“.

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