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La grammatica delle parolacce/1

«Che cazzo vuoi?». «Il tuo no!». La battuta è vecchia. Ma ha la sua importanza, perché evidenzia un fatto a cui di solito non pensiamo: le parolacce rivoluzionano il senso delle frasi. Ma in che modo si inseriscono nei discorsi? Rispettano le regole grammaticali? Nella frase “Che cazzo vuoi?”, il pene è complemento oggetto?
Domande non banali, perché aprono questioni di grammatica, di semiologia e di pragmatica. Per un linguista, infatti, le parolacce sono una miniera. Tanto che uno dei fondatori della semantica generativa, Jim McCawley, ha dedicato un intero saggio a sofisticate analisi della grammatica delle espressioni tabù in inglese.
In Italia, però, non è così: nelle nostre grammatiche non c’è traccia delle parolacce, come se fossero indegne d’essere studiate… Eppure è uno studio divertente. E rivela molte cose sulla nostra cultura e sulla nostra psicologia. Ecco perché continuo a esplorare questa miniera, ampliando qui molti temi trattati nel mio libro.
Per comprendere la grammatica (e non solo) delle parolacce, c’è un solo modo per orientarsi: studiare gli scopi per cui sono usate. Ovvero, partire dalla pragmatica. Scoprirete che, nonostante il parere dei benpensanti, le parolacce non servono solo a colorire il discorso… Le parolacce infatti hanno 5 funzioni: 1) enfatizzare; 2) descrivere; 3) imprecare; 4) maledire; 5) insultare.

1) ENFATIZZARE

Locandina del “Vernacoliere”, giornale satirico.

Le parolacce sono molto usate in senso traslato, come figure retoriche: servono a ravvivare e colorare il discorso, assumendo altri significati rispetto a quelli letterali.
L’effetto di queste espressioni è il più vario: possono servire non solo a esprimere rabbia, sorpresa, irritazione, ma anche ad attirare l’attenzione, ottenere effetti comici, o rendere informale un discorso, accorciando le distanze.
Queste frasi idiomatiche servono quindi a esprimere l’emozione del parlante. Per usare un termine del filosofo inglese Paul Grice, le parolacce permettono le “implicature convenzionali”: permettono di dedurre il punto di vista del parlante, anche se questi non lo dice in maniera diretta.
Ma approfondiamo alcuni di questi modi di dire, perché presentano diverse particolarità linguistiche che meritano di essere approfondite.

CHI CAZZO E'?

La parola cazzo è legata al soggetto (chi: pronome interrogativo), ma non è né un aggettivo (è un sostantivo) né un predicato nominale (è prima del verbo essere).
In questo caso, la parolaccia è un’enfasi, una figura retorica che serve ad accentuare, rinforzare il pronome personale chi, intensificando l’interrogativo: esprime la forte meraviglia o la rabbia di chi pronuncia la frase. 

CHE CAZZO VUOI?

La frase si presta a una duplice interpretazione. Se la parola che è un pronome, cazzo è un’enfasi, come nella frase precedente.
Se invece che è un aggettivo interrogativo, allora si lega a cazzo che in questo caso è complemento oggetto, e sostituisce la parola cosa: perché in questo caso, la parolaccia, rompendo un tabù, esprime la forte emozione del parlante (la sua rabbia, l’aggressività). Il tutto grazie alla connotazione (l’insieme dei valori emotivi) della parolaccia. La figura retorica con cui si realizza questo effetto è la metonimia: sostituire una parola con un’altra che ha una relazione con essa. In questo caso, si sostituisce l’astratto (cosa) con il concreto (cazzo).
Ma la frase potrebbe nascere, più banalmente, dall’assonanza (allitterazione) fra cosa e cazzo: del resto, in spagnolo la stessa frase diventa “que coño quieres?” (letteralmente: Che fica vuoi?) e presenta identica assonanza que(ke) –co.
Stesso meccanismo retorico avviene per la frase “Non me ne frega un cazzo” (= niente).
Ma come si è passati dalla originaria sacralità degli organi genitali al loro disprezzo? Perché l’organo genitale maschile è sinonimo di “cosa da nulla”? Intanto, non è così universalmente: in Spagna e in Francia, per esempio, questo ruolo è svolto dall’organo sessuale femminile (coño, con); nei Paesi anglosassoni, dal termine fottere (fuck, the fuck); in tedesco, dal termine Scheiße (merda)… Probabilmente perché questi termini ci ricordano il nostro lato irrazionale e animalesco, che respingiamo come inferiore. Ma la scelta di sminuire il valore dei genitali potrebbe anche nascere da una visione maschilista, come ha rilevato Dario Fo, o ancora dall’influsso del cattolicesimo con una componente orfica (l’orfismo sminuiva il corpo, inteso come prigione dell’anima). 

CHIUDI QUELLA CAZZO DI PORTA!

Qui cazzo sostituisce la parola specie, esprimendo non solo un atteggiamento spregiativo verso la porta, ma anche il fastidio, la rabbia del parlante. Anche in questo caso si tratta di una metonimia

HO VISTO UN FILM DI MERDA.

Che complemento è? Potrebbe essere un complemento di materia (ovvero: il film è fatto con la merda, la materia più ignobile e repellente) ma visto il suo senso traslato è più probabile che sia un complemento di qualità (ovvero: la sua caratteristica è tipica della merda).
In quest’ultimo complemento rientrano le espressioni “disco della Madonna” e “faccia di culo”.
In quest’ottica si può apprezzare il celebre giudizio di Fantozzi sulla “Corazzata Potemkin”:


MI HAI ROTTO I COGLIONI

Letteralmente si accusa l’interlocutore di aver prodotto un dolore, un fastidio fisico (una grave ferita all’apparato genitale): in realtà, il senso dell’espressione è figurato. In questo caso, coglioni potrebbe essere una sineddoche (una parte per il tutto, ovvero: hai prodotto un dolore alla mia intera persona), una metafora (immagine figurata per “parte sensibile e vitale”). 

COL CAZZO CHE PAGO IO!

Qui il termine cazzo è una metafora con un senso figurato: “cosa che non vale nulla”.  In senso più letterale, però, forse la frase può significare un pagamento in natura (o una sodomizzazione, intesa come minaccia). La frase inizia con il complemento di modo: questo tipo di sintassi è un modo per enfatizzare provocatoriamente la non volontà di pagare.
La metafora ha lo stesso significato anche nella frase: “non vale un cazzo”. In questo caso, però, il disvalore è riferito all’organo genitale altrui. 

2) DESCRIVERE

vegetali2I termini che si riferiscono al sesso e agli escrementi sono tabù. Ma perché? In generale, perché ci fanno visualizzare questi aspetti in modo diretto, abbassante o offensivo. Ricordandoci il nostro lato animalesco (a cui, evidentemente, non vogliamo pensare) e la nostra vulnerabilità alle malattie di cui sesso ed escrementi sono veicoli.
Ma le parolacce che si riferiscono al sesso non hanno tutte la medesima carica dirompente. Facciamo un esempio sul sesso femminile: pisella, patata, prugna, fica, sono tutte metafore che attingono a immagini di frutti. Quindi, in teoria, dovrebbero avere una carica offensiva equivalente. Ma non è affatto così: mentre i primi 2 termini sono tipici del linguaggio infantile, e come tali non suscitano scandalo, il terzo è più colloquiale e l’ultimo è assolutamente volgare.
Perché? Questo non dipende tanto dal loro referente, o dal loro suono, quanto dal fatto che la nostra cultura ha deciso così. Le parolacce sono tabù non per le loro caratteristiche intrinseche, ma perché un gruppo sociale ha deciso che sono da “maneggiare con cura”. Decidendo anche quali termini sono considerati più offensivi di altri, come ho rilevato attraverso il volgarometro. Ecco perché qualsiasi parola può diventare una parolaccia (cioè veicolare significati tabù) e perché la medesima parola può assumere, a seconda delle epoche e delle culture, connotazioni più o meno volgari. Anche se la connotazione, ovvero la coloritura emotiva non è un’esclusiva delle parolacce.

Ma, come dicevo, le parolacce non si limitano a colorare le nostre frasi. Hanno anche un livello più profondo, di cui parlo nella prossima puntata

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2 Comments

  1. Molto profondo e giusto. Mi ha molto appassionato leggere questo approfondimento..

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