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Perché “somaro” è un’offesa? Qui casca l’asino

Orecchie (autoironiche) da asino in vendita sul Web.

I suoi nomi sono 4: asino, somaro, ciuccio (o ciuco) e mulo. Ma nessuno ha un significato positivo, a parte indicare l’Equus africanus asinus, il mammifero che tutti conosciamo. Quei 4 appellativi, se indirizzati agli uomini, indicano infatti gli zotici, rozzi, maleducati; oppure gli ignoranti, ottusi, incapaci, svogliati nell’apprendere; o, ancora, chi è cocciuto, ostinato, testardo. Insomma, l’asino è diventato un insulto.
Eppure, chi conosce gli asini sa bene che queste caratteristiche negative non gli appartengono: in realtà è un animale intelligente, affettuoso e soprattutto gran lavoratore.
Come si spiega, allora, la sua pessima fama? Perché si è deciso di attribuire all’asino una scarsa intelligenza e comportamenti tanto riprovevoli?

In tutte le epoche. E in tutte le lingue

“Asini”, film di Antonello Grimaldi (1999).

L’usanza è antichissima: il termine “asino” era usato già come insulto non solo da Dante (Convivio: “Chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitive, non vive uomo, ma vive bestia… “Asino vive”), e Boccaccio (Decameron: “Asino fastidioso ed ebraico che tu dèi essere!”), ma anche dal latino Marco Tullio Cicerone, che insultò Lucio Calpurnio Pisone dicendogli: “Perché ora, asino, dovrei insegnarti la letteratura?”.
La parola “mulo”, poi, significa anche incrocio, bastardo: il termine “mulatto” deriva proprio dal mulo, generato dall’accoppiamento fra una cavalla e un asino. Un razzismo sottile: si paragona l’incrocio fra un nero e un bianco a quello fra due animali di specie diverse.
Il frutto dell’incrocio fra un cavallo e un’asina, invece, si chiama bardotto: ma solo il mulo è diventato un insulto, forse per un implicito disprezzo maschilista verso la cavalla che si è “abbassata” a congiungersi con un mulo.

Pinocchio si trasforma in somaro.

Collodi, in “Pinocchio”, ha eletto il somaro a simbolo dell’ignoranza: dopo aver passato 5 mesi a giocare invece di andare a scuola, Pinocchio si trasforma in asino perché “tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giuochi e in divertimenti, debbono finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari”.
Eppure, chi ha visto un vero asino, sa bene che sono in realtà infaticabili lavoratori. Del resto, “somaro” deriva da “soma”, peso; e “muletto” indica anche un carrello a motore per sollevare carichi pesanti.

Ma non è tutto. La pessima nomea di questo animale ha contagiato infatti non solo l’italiano, ma anche  molte altre lingue: “somaro” è un insulto anche in inglese (donkey, jackass), tedesco (esel), spagnolo e portoghese (asno, burro), francese (âne)  e russo (osel).

Il logo dei democratici Usa.

Ma a volte l’asino può diventare un simbolo positivo. E’ il caso dei democratici negli Usa, rappresentati proprio da un asino. L’usanza ha quasi 2 secoli: risale ad Andrew Jackson, che nella campagna elettorale del 1828 usò come simbolo l’asino. Un gesto d’orgoglio verso gli avversari che lo avevano soprannominato, storpiandogli il cognome, “Jackass” (somaro, ignorante): Jackson, per tutta risposta, scelse proprio l’asino come simbolo del partito, per rappresentare il popolo che lavora e soffre ma non si arrende.

Dunque, la domanda si impone in modo ancora più forte: “Come ha fatto a resistere così a lungo il cliché della stupidità, pur essendo palesemente falso?”, si chiede Jutta Person nel libro “L’asino” (Marsilio).
Ho deciso di indagare. Per capire come mai l’asino è diventato un somaro. E conoscere meglio un animale che merita rispetto, come ho già fatto con altri animali linguisticamente disprezzati: il cane, il maiale, il topo (e altri animali, vedi i link in fondo a questo articolo). Ovvero i più vicini compagni della nostra vita quotidiana.

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UNA MACCHINA PERFETTA

Per capire com’è davvero l’asino, basta ricordare la sua storia e la sua etologia. L’asino è stato addomesticato per la prima volta fra 5 e 7mila anni fa nell’Africa nord-orientale (Eritrea, Somalia, Egitto). Fu allevato con cura perché resisteva alla fatica, era forte, e costava poco mantenerlo: mangia meno di un cavallo. Insomma, una macchina perfetta, capace di resistere alle fatiche e agli ambienti più ostili.
Per capire il suo comportamento, bisogna ricordare da dove viene: le regioni aride, montuose e sassose ai margini del deserto. Così riesce a muoversi in modo agile nelle zone più impervie. Tanto che in caso di pericolo, mentre un cavallo tende a fuggire, l’asino rimane immobile e non si sposta nemmeno se trascinato o picchiato. E fa bene, perché correre su un suolo roccioso significherebbe azzopparsi. Negli zoccoli, tra l’altro, l’asino ha un’alta sensibilità tattile, per riconoscere le asperità del terreno.
Ma il suo atteggiamento guardingo è stato frainteso come indecisione: da qui la leggenda dell’asino di Buridano (indeciso fra due mucchi di paglia posti a uguale distanza, non riesce a decidersi e muore di fame).
Gli asini originari vivevano in piccoli gruppi. L’udito acuto e la vocalizzazione potente gli servono per ascoltare i pericoli e avvisare gli altri. La sua lentezza e i suoi sensi sviluppati lo portano ad affrontare un evento inatteso non con la fuga, ma cercando di capire come affrontarlo.
Le orecchie dell’asino sono particolarmente lunghe perché adatte a disperdere calore in un clima desertico. La pelle d’asino è usata come tamburo: è coriacea, ed è dotata di un tessuto adiposo (su collo, dorso e groppa) che funziona da riserva idrica, come per i cammelli.
Le sue labbra sono grosse e molto pronunciate: sono molto sensibili per la ricerca del cibo. Anche l’olfatto è molto sviluppato: pare sia uno degli erbivori capaci di riconoscere il maggior numero di aromi.
Gli occhi hanno un campo visivo molto ampio e con buona vista notturna.
Che dire della sua intelligenza (ammesso che sia corretto attribuire un canone umano a un animale)? Di certo ha una memoria eccellente: quello che ha sperimentato una volta, non lo dimentica più. Ed è curioso, esplora l’ambiente anche da solo. Ed è generoso nell’approcciarsi con chi si avvicina a lui nel modo giusto. Non è pauroso, è indipendente. Ecco perché nell’antichità, l’asino era considerato una ricchezza.

Un “mostro” mite, superdotato e schiavizzato

Dunque, un animale con doti eccezionali. Da dove salta fuori, allora, la sua pessima fama? Da 4 sue caratteristiche che hanno gettato un’ombra sulla sua immagine:

  1. L’uomo-asino in una delle tavole di Giambattista Della Porta.

    IL SUO ASPETTO FISICO: nell’antichità, gli animali erano stati visti come modelli di determinate caratteristiche umane. Leoni, pantere, cinghiali erano utilizzati come simboli per definire il carattere (coraggioso, codardo, sfacciato…) degli uomini, nella convinzione che ci fosse un collegamento fra la forma del corpo e l’anima. Nel 300 a.C., infatti, lo Pseudo Aristotele scrisse la “Physiognomonica”, un trattato nel quale diversi animali rappresentavano  determinati tipi di uomini: l’asino, in particolare, rappresenta l’ottusità, la stupidità e l’indolenza. Colpa dei suoi occhi sporgenti (segno di stupidità), della fronte curva (ottusità), delle labbra grosse (scarsa intelligenza) e delle orecchie grandi (timorosità). E questi stereotipi sono sopravvissuti per secoli: erano ancora ben presenti nella “De humana physiognomonia” di Giambattista Della Porta (1586).

  2. LA SUA SESSUALITA’: l’asino è un superdotato, essendo dotato di un pene enorme. In più ha rapporti più frequenti e aggressivi rispetto ai cavalli. Ecco perché in due racconti latini, le “Metamorfosi” di Apuleio (2° secolo d.C.) e “Lucio o l’asino” dello Pseudo-Luciano, il protagonista si trasforma in asino, e ha rapporti con una donna che ne apprezza le doti. Ma l’aspetto erotico dell’asino ha suscitato, soprattutto dal Medioevo, un’ondata di repulsione e diffidenza, facendo catalogare l’asino fra gli esseri mostruosi e demoniaci, o comunque da censurare. E in realtà potrebbe aver giocato, in questo disprezzo, anche una “invidia del pene” (termine preso a prestito dalla psicanalisi) nei confronti delle sue doti erotiche.
  3. LA SUA VOCE, SGRADEVOLE E SPAVENTOSA: come abbiamo visto sopra, con il suo verso l’asino riesce a segnalare i pericolo al proprio gruppo, anche se è lontano. Ma il raglio dell’asino è molto sgradevole per le orecchie umane, tanto che è diventato l’emblema di chi è ignorante: “raglio d’asino non sale al cielo”, dice il proverbio. Ovvero, chi è intelligente non dà ascolto alle chiacchiere delle persone sciocche.
  4. I SUOI OCCHI: pur avendo un’ottima vista l’asino non riesce a guardare in alto: questo fatto potrebbe aver indotto, nel Medioevo, a considerare l’asino un animale rivolto alla terra piuttosto che al cielo e alla spiritualità.
  5. LA SUA MITEZZA: l’asino è molto servizievole. Dato che si lascia fare di tutto, viene sfruttato e deriso come passivo e indeciso. Gli erbivori più miti sono stati sempre considerati imbecilli: il filosofo Friedrich Nietzsche lo disprezza come bestia da soma che si carica di ogni peso, dice sempre di sì e tiene gli occhi bassi.
  6. LA SUA IMMOBILITA’: dato che in alcune circostanze (soprattutto di pericolo, vero o presunto) l’asino rimane immobile questo è stato interpretato come testardaggine e ostinazione (“sei un mulo”) e stupidità, incapacità di imparare, ottusità.

Un amico forte e pacifico

Dunque, un animale dal valore simbolico molto ricco. E non solo in negativo: nell’Antico Testamento, era considerato una ricchezza (nei 10 comandamenti l’asino è incluso fra “la roba d’altri” con moglie, schiavi e buoi). E nel racconto biblico dedicato all’indovino Balaam (Numeri, 22, 28-31), fu un’asina ad accorgersi della presenza di un angelo, avvisandolo.

Gesù a Gerusalemme su un asino (Hippolyte Flandrin, 1848).

E anche nel Nuovo Testamento l’asino ha un ruolo di primo piano: era nella grotta della natività insieme al bue, fu usato da Giuseppe e Maria per la fuga in Egitto, e soprattutto per l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Una scelta simbolica molto forte, per caratterizzare il Messia come un re umile, che non ha bisogno di un destriero da battaglia. Gesù, insomma, somiglia al quadrupede che cavalca: umile e servizievole, mite, pacifico, si lascia picchiare senza opporre resistenza, pur essendo forte. Un racconto così suggestivo che fino a tutto il Medioevo, si celebravano messe in cui il sacerdote entrava in chiesa a dorso d’asino, mentre l’assemblea ragliava.
Poi c’è Sancho Panza che va in giro con l’asino, l’asino d’oro dei fratelli Grimm (al suono della parola magica lascia cadere monete d’oro dietro di sè). Nella “Fattoria degli animali” George Orwell crea il personaggio di Benjamin Beniamino, un asino scettico e intelligente, assai più sveglio della maggior parte dei suoi compagni. L’ultimo asino della fantasia è Ciuchino, che dal 2001 appare nei cartoni animati di Shrek: è un gran chiacchierone, ama cantare e ballare, ed è molto intelligente , anche se piuttosto fifone.

Uno status symbol (in negativo)

Un editore controcorrente, Edizioni dell’asino: dà attenzione alle minoranze.

Dunque, l’asino è in realtà un animale ambivalente, su cui l’uomo ha proiettato lodi e offese. Questo animale è visto benefico o demoniaco, potente o umile, sapiente o ignorante. Anche se, alla fine, ha prevalso l’immagine negativa. Perché? Nel libro “Asino caro” (Bompiani) Roberto Finzi dice che la ragione è socio-economica: il somaro è disprezzato perché simbolo delle persone povere e contadine, che non possono permettersi mezzi di trasporto più prestigiosi (dal cavallo in su).
Tant’è vero che per dire che una persona è scesa nella scala sociale, oltre al detto “dalle stelle alle stalle” c’è anche “ab equis ad asinos”, dai cavalli agli asini. Insomma, alla fine l’asino come insulto è il riflesso del disprezzo sociale per chi è povero e umile.

 

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3 Comments

    • Certo, ne sono consapevole e l’ho anche scritto. Ma l’ho inserito perché il mulo non è nemmeno così lontano, essendo un asino al 50%. Ed è utilizzato al 100% nello stesso modo degli asini (lavori pesanti, spostamenti, etc).

  1. Bell’articolo. L’asino per le sue caratteristiche (che sono anche le sue qualità) è stato sempre immeritatamente bistrattato, nei fatti e nel gergo in uso da tempo immemore. È stato interessante questo excursus. Leggerò l’asino d’oro di Apuleio.

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