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Come il cervello reagisce agli insulti

E’ passata alle cronache come la ricerca che ha scoperto che gli insulti sono come piccoli schiaffi. Ma non è vero: ha scoperto invece – usando l’elettroencefalogramma – che gli insulti attirano l’attenzione del cervello molto più delle altre parole, siano esse parole neutre o complimenti. Lo studio, uscito sulla rivista “Frontiers in communication” è stato fatto all’Università di Utrecht, Paesi Bassi. E qui ve lo racconto nei suoi termini reali.

Gli psicologi, guidati da Marijn Struiksma, hanno reclutato 79 partecipanti fra i 18 e i 30 anni d’età: erano tutte donne e studentesse. Le hanno fatte accomodare, una alla volta, in una stanza, dicendo loro che avrebbero visto, proiettate su uno schermo, le osservazioni di alcuni personaggi che le riguardavano. Erano 30 frasi: 10 erano insulti (“orribile”, “puttana”, “bugiarda”), 10 erano complimenti (“impressionante”, “sei un angelo”) e 10 erano frasi neutre (“sei una studentessa”; “sei olandese”).

L’esperimento e i risultati

Gli ERP (potenziali evocati) nell’esperimento

Mentre le volontarie guardavano le slides, gli psicologi registravano un elettroencefalogramma (EEG) e la conduttività della pelle.
Il risultato: gli insulti sono stati gli unici a provocare una reazione rilevata dall’EEG. In particolare sono stati misurati i
potenziali evocati (ERP, event related potential), variazioni del potenziale elettrico derivanti da uno stimolo visivo o uditivo. Nello specifico, le offese hanno aumentato la P2, una componente ERP di breve durata, dopo 200 millisecondi dalla vista dell’immagine. Questo sta a indicare un’attenzione aggiuntiva innescata in modo rapido da emozioni o da eventi inaspettati. “Dato che gli insulti sono trasgressioni morali, ha senso scoprire che catturano rapidamente l’attenzione, almeno in misura maggiore rispetto ai complimenti e alle descrizioni neutre”, scrivono i ricercatori. E questo effetto non va a diminuire nel tempo, anche se il medesimo stimolo viene ripetuto: durante l’esperimento, l’effetto P2 è stato registrato con la stessa entità anche dopo 120 insulti. Questo rivela che il cervello è più sensibile ai giudizi negativi, come  riscontriamo nella vita di tutti i giorni, “Se riceviamo un complimento, ce ne dimentichiamo con il passare del tempo. Mentre un insulto può darci fastidio per tutta la giornata”.

Gli insulti, però, non hanno causato picchi nella conduttività elettrica della pelle. “Anzi, i risultati della conduttanza cutanea sono sconcertanti. Ci aspettavamo che la minaccia al sé rappresentata dagli insulti con il nome del partecipante avrebbe generato l’eccitazione più forte (cioè la più alta risposta di conduttanza cutanea). Nel nostro studio, tuttavia,sono le descrizioni neutre effettivamente corrette che hanno generato l’eccitazione più forte, mentre insulti e complimenti non differivano nel loro potenziale eccitante”.

Perché siamo sensibili alle offese

Campagna per il lockdown del portale Puglia.com

Perché il cervello ha questa maggiore sensibilità verso gli insulti? Perché questi hanno un’importante funzione sociale: “Per i membri di una specie sociale specializzata nella cooperazione anche al di là della famiglia, gli insulti rappresentano una grave minaccia per te stesso e per la tua reputazione. Gli insulti, inoltre, sono importanti perché forniscono informazioni su una persona (un giudizio negativo sulle sue capacità intellettuali, il suo aspetto fisico o il suo comportamento) e sui conflitti in corso”. Dunque, il nostro cervello si attiva subito quando ne sentiamo uno: attira la nostra attenzione, siamo attivati perché sappiamo che è entrato in gioco qualcosa di rilevante nei rapporti sociali.

Come si spiega, però, la scarsa conduttanza elettrica della pelle? Questo risultato contraddice altri esperimenti fatti in passato (li ho raccontati sul mio libro Parolacce), nei quali è stato accertato che dire parolacce aumenta la conduttività elettrica della pelle, fa dilatare le pupille e modifica la pressione.

Il motivo è semplice: un conto è leggere una parolaccia su uno schermo, tutt’altro conto è ascoltare una parolaccia pronunciata da una persona in carne e ossa. Che metterà in quell’insulto le sue emozioni, espresse con il tono e l’altezza della voce, la mimica facciale, la postura del corpo, i gesti… Nella vita reale l’insulto è molto più di una parola: è un comportamento complesso, che porta con sè un ventaglio di significati emotivi. Per questo le “parolacce da laboratorio” sono ben poco realistiche. 

Un appello ai ricercatori

Le aree cerebrali attive viste con la risonanza magnetica funzionale

Le parolacce sono un campo di ricerca ricco e affascinante. Ma se vogliamo studiarle davvero, la prima preoccupazione dovrebbe essere quella di riprodurle in modo realistico, ad esempio facendole recitare a un attore. Altro accorgimento, reclutare volontari di ambo i sessi, e di varie fasce sociali e d’età (contrariamente a quanto fatto nello studio olandese che si è concentrato solo su donne, studentesse e giovani).
E soprattutto, c’è ancora un mondo da esplorare sul turpiloquio: quali sono le aree cerebrali coinvolte, e qual è la sua biochimica. Le parolacce infatti sono il linguaggio delle emozioni: servono a esprimere le emozioni più forti (rabbia, paura, sorpresa, tristezza, gioia). E le emozioni attivano specifiche aree cerebrali, innescando la produzione di particolari ormoni e neurotrasmettitori come adrenalina, serotonina. Tutto questo è già noto in generale; eppure, ancora pochi hanno indagato con la risonanza magnetica funzionale quali aree cerebrali sono più attive quando si ascoltano o si dicono parolacce. Sarebbe molto interessante scoprirlo, anche per identificare quali aree sono più legate alle diverse espressioni sessuali, escrementizie, razziste e così via.

E ancora nessuno, a quanto mi risulta, ha studiato quali ormoni e neurotrasmettitori siano prodotti dal nostro organismo quando diciamo o ascoltiamo una parolaccia. Questo studio sarebbe ancora più semplice: basta fare un esame del sangue a chi dice o ascolta una parola volgare.
Dunque, rinnovo l’appello già lanciato anni fa ai ricercatori: studiate la neurologia e la biochimica del turpiloquio. Potrebbero svelare molte cose interessanti. E potremmo scoprire se ricevere un insulto equivale davvero a ricevere un piccolo schiaffo in faccia come hanno scritto i ricercatori olandesi: loro, però, hanno fatto questo paragone solo per suggestione intellettuale, dato che la paternità di questa metafora, come essi stessi scrivono, è del filosofo inglese William Irvine, che ha scritto un saggio sul turpiloquio nel 2013 intitolato “Uno schiaffio in faccia. perché gli insulti feriscono e perché non dovrebbero”.
Sarebbe molto più interessante, invece, verificare, con la risonanza magnetica, se ricevere un insulto attiva le stesse aree cerebrali che controllano il dolore fisico: aprirebbe una finestra su un mondo tutto da esplorare, il legame fra parole, emozioni, percezioni, cervello. 

 

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